sabato 15 dicembre 2018

Vocabolario Siciliano "Amici degli amici" #1

Camurriùsu
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Colui che nello svolgimento della propria attività, con dedizione, serietà, onestà, nell'esclusivo e superiore interesse della collettività, ostacola i piani, i progetti e le realizzazioni degli "Amici degli amici". 


Esempi: 
  • Pubblico funzionario, responsabile di servizio che prevede l'elargizione di fondi pubblici che, nell'espletamento della propria attività lavorativa, chiede ai destinatari dei benefici il rispetto di quanto previsto dalle leggi (requisiti, documenti, rispetto di parametri e procedure); 
  • Ambientalista che con pubbliche denunce interviene a difesa della salute pubblica, contro emissioni nocive, discariche non autorizzate, cibi contraffatti, taglio indiscriminato di alberi, sversamenti fognari in mare;
  • Giornalista che oltre a pubblicare le notizie di routine, decide di scoperchiare pentole e pentoloni indagando sui fatti, documentandosi in maniera approfondita, senza accettare veti, regali, sovvenzioni (anche sotto forma di pubblicità), dai protagonisti delle sue inchieste;
  • Aggiungere altri esempi a piacere.
Sinonimi
Noioso, pignolo, pedante, cavilloso, piantagrane, rompicoglioni, rompipalle, rompiscatole

Contrari
“Amico degli amici", “Uno dei nostri”





giovedì 15 novembre 2018

Chi siamo?

L'italia è abitata dagli italiani: uomini, donne, molti anziani, pochi bambini. Ci sono italiani che vivono lontano da dove sono nati, in altri paesi europei, in America Latina, negli Stati Uniti, anche in Australia, in Africa e in Asia. 
Molti italiani, la maggioranza, sono di religione cattolica, altri appartengono alla chiesa evangelica, altri ancora credono nello stesso dio, ma lo chiamano Allah. Alcuni praticano la religione ebraica, altri quella indù, molti non ne professano alcuna. 
Molte famiglie italiane sono formate da persone sposate, con o senza figli. Altre sono fatte da uomini e donne che non hanno sentito il bisogno di sposarsi, altre ancora da persone dello stesso sesso. Altri ancora preferiscono vivere da soli, ma si sentono comunque famiglia. Tutti e tutte, indipendentemente dal tipo di famiglia, si vogliono bene, si amano. Purtroppo, in alcuni casi si detestano e in qualche caso si odiano pure. 
Molti italiani sono onesti, altri lo sono meno e alcuni, addirittura, non lo sono per niente. Tra gli italiani, purtroppo, ci sono anche molti delinquenti e assassini. 
Ma chi siamo, gli italiani? 
Prima dell'avvento dei Romani, qualche secolo prima di Cristo, non c'era ancora l'Italia. Ma nella penisola che oggi corrisponde al nostro paese vivevano molte popolazioni italiche di origine indoeuropea. Al Centro Nord vi erano Veneti, Latini, Volsci, Equi, Sabini, Umbri, Marsi, Peligni, Marrucini e Piceni. Altri due popoli, i Liguri e gli Etruschi, di origine non indoeuropea, vivevano nei territori delle attuali regioni comprese tra la Liguria, la Toscana e il Lazio. Verso sud, tra le attuali regioni dell’Abruzzo e della Campania, si trovava il territorio abitato dai Sanniti. Nelle zone più interne dell’attuale Campania vivevano gli Osci. In Puglia il popolo Iapigi, mentre in corrispondenza delle attuali Basilicata e Calabria vivevano i Lucani e i Bruzi. La Sardegna era abitata dai Sardi e successivamente dai Fenici. La Sicilia vide l'alternarsi di popoli di origine fenicia e greca e popolazioni autoctone come gli Elimi, i Siculi e i Sicani. Completano il quadro le popolazioni di origine Gallica, giunte in Italia in zone diverse. 
Anche dopo, lungo la linea della storia che porta dalla nascita di Cristo ai giorni nostri, sono incredibilmente numerosi i popoli e le dinastie che hanno posato i loro piedi sul suolo italico: Greci, Romani, Galli, Germani, Vandali, Longobardi, Bizantini, Arabi, Normanni, Franchi, Spagnoli, Austriaci, Borboni, ecc. 
Un movimento di popoli, spesso in lotta tra di loro, che si separa, poi si unisce, si muove alla ricerca di territori e nuove possibilità. Questo la storia ci ha insegnato. 
Quindi, chi siamo gli italiani? 
Se mettessimo la mappa genetica del nostro Dna, in relazione con i luoghi da cui si è formato nel corso dei secoli, otterremmo un’articolata carta geografica. Magari qualcuno scoprirebbe insospettabili cugini e fratelli di sangue. Non c’è, però, bisogno di scomodare la genetica per capire tutto questo. Basta guardare le nostre facce, il cibo che mangiamo, i riti e le tradizioni, gli usi e i costumi, le parole dei nostri dialetti, per renderci conto chi siamo e da dove veniamo. 
Ma se vogliamo davvero capire chi siamo, è dentro di noi che dobbiamo cercare. Basta aprire il nostro cuore. Non all'esterno, ma verso noi stessi. Scopriremo che il mondo intero alberga proprio lì. Certo, ci vuole coraggio perché potremmo scoprire che nessuno è diverso, visto che non possiamo essere diversi da noi stessi. Potremmo scoprire che ognuno ci appartiene e che noi apparteniamo a ogni altro. Potremmo renderci conto che siamo una splendida somma di umanità e non una mortificante sottrazione. Che siamo solidale, entusiasmante, inebriante moltiplicazione di colori e non sterile, egoista, divisione. 
E allora la nostra vita potrebbe cambiare, in meglio, per sempre.

martedì 25 settembre 2018

Non se ne può più


Da un po' di tempo prediligo i ragionamenti banali. Vi invito a seguire questo gioco  leggendo il testo fino alla fine, dove troverete altre indicazioni. 

Adesso basta! Non se ne può più! Davvero! Esco stamattina per andare al Centro per l'impiego e trovo due migranti appoggiati alla mia auto che ascoltano la loro musica con gli auricolari. Infastidito, gli faccio cenno di spostarsi. Si scansano. Salgo in macchina e vado via. Al CPI, dopo un'ora d'attesa, mi dicono che non ci sono novità. Niente di niente. Per me, neanche un posto da lavapiatti. 
Ne approfitto per passare dalla banca. Meglio controllare il saldo del conto, ho l'impressione che questo mese non ce la farò a pagare l'ultima bolletta! Giro, giro, ma di parcheggi neanche l'ombra. Ecco un altro migrante. Mi fa cenno di parcheggiare. Mal volentieri decido di accettare l'invito, gli metto in mano cinquanta centesimi e entro in banca. Anche qui, dopo un'ora di attesa, chiedo all'impiegato notizie del mio conto. Mi guarda severo, mentre accenno un sorriso stentato. Mi dice che il mio conto segna -30, come il gelo che sento dopo la sua risposta. Chiedo: potrei avere un fido, magari fino a quando ritrovo un lavoro? Il cassiere mi guarda e adesso sorride, io mi faccio serio. Dice che senza un lavoro non possono darmi manco un euro. Esco dalla banca con la stessa espressione del mio cane quando è stato bastonato dal vicino stronzo. "Tutto a posto, cucì!", mi dice il parcheggiatore nero. "Vaffanculu, puru tu!", gli rispondo salendo in macchina. 
Visto che ci sono, passo dal medico. Le pillole per la pressione sono finite e oggi ne ho più bisogno che mai. Dopo un'ora d'attesa, tre informatori scientifici a cui ho dovuto cedere il posto e una donna araba che è entrata prima di me, finalmente arriva il mio turno. Il dottore, però, dice che non può prescrivermi il farmaco, perché a lui risulta che ne ho preso già una scatola il mese scorso e quindi devo aspettare ancora una settimana. Insisto, ma non vuole sentire ragioni. Esco dall'ambulatorio con il morale a terra. In compenso la pressione è bella alta! In farmacia chiedo che venga timbrata la scatola del farmaco, così chiederò il rimborso, anche se il ticket dovrò pagarlo comunque. 
Guardo l'orologio e mi accorgo che è passato da poco mezzogiorno. Mi precipito al supermercato, devo prendere qualcosa da mangiare. Tra gli scaffali sono bravissimo a scorgere i cartellini delle offerte. Con soli 15 euro sono riuscito a riempire metà carrello. Dopo mezz'ora di fila alla cassa, finalmente è il mio turno. La porta automatica si apre e pronta, con la mano protesa, una zingara con un bambino in braccio mi chiede l'elemosina. La ritrae subito dopo avere incrociato il mio sguardo. 
Davanti alla stazione eccoli quei "mangia pane a tradimento". Tunisini, marocchini, africani, bivaccano tutto il giorno qui e chissà in che giri sono entrati. 
Passo a prendere mio figlio a scuola. Eccolo, mentre esce attorniato dai suoi compagni, molti dei quali, manco a dirlo, sono stranieri. Appena sale in macchina mi saluta e mi consegna la nota dei libri che dovrà comprare. La leggo e fingo un sorriso. Mio figlio si fa serio. 
A casa, mentre cucino, al telegiornale parlano della nave con più di cento migranti bloccata nel porto di Catania. Ecco Salvini che gliene dice quattro a tutti questi balordi che stanno rovinando l'Italia. "Prima gli italiani", dice alla giornalista che lo sta intervistando. "Bravo!", dico io. 

Ecco. Quella che ho raccontato potrebbe essere una normale giornata, vissuta da tanti italiani. Adesso provo a riscriverla, facendo un'operazione di sottrazione: tolgo dal racconto tutte le scene con la presenza di migranti. 

Esco stamattina per andare al Centro per l'impiego. Al CPI, dopo un'ora d'attesa, mi dicono che non ci sono novità. Niente di niente. Per me, neanche un posto da lavapiatti. Ne approfitto per passare dalla banca. Meglio controllare il saldo del conto, ho l'impressione che questo mese non ce la farò a pagare l'ultima bolletta!  Anche qui, dopo un'ora di attesa, chiedo all'impiegato notizie del mio conto. Mi guarda severo, mentre io accenno un sorriso stentato. Mi dice che il mio conto segna -30, come il gelo che sento dopo la sua risposta. Chiedo: potrei avere un fido, magari fino a quando ritrovo un lavoro? Il cassiere mi guarda e adesso sorride, io mi faccio serio. Dice che senza un lavoro non possono darmi manco un euro. Esco dalla banca con la stessa espressione del mio cane quando è stato bastonato dal vicino stronzo. 
Visto che ci sono, passo dal medico. Le pillole per la pressione sono finite e oggi ne ho più bisogno che mai. Dopo un'ora d'attesa, tre informatori scientifici a cui ho dovuto cedere il posto, finalmente arriva il mio turno. Il dottore, però, dice che non può prescrivermi il farmaco, perché a lui risulta che ne ho preso già una scatola il mese scorso e quindi devo aspettare ancora una settimana. Insisto, ma non vuole sentire ragioni. Esco dall'ambulatorio con il morale a terra. In compenso la pressione è bella alta! In farmacia chiedo che venga timbrata la scatola del farmaco, così chiederò il rimborso, anche se il ticket dovrò pagarlo comunque. 
Guardo l'orologio e mi accorgo che è passato da poco mezzogiorno. Mi precipito al supermercato, devo prendere qualcosa da mangiare. Tra gli scaffali sono bravissimo a scorgere i cartellini delle offerte. Con soli 15 euro sono riuscito a riempire metà carrello. Dopo mezz'ora di fila alla cassa, finalmente è il mio turno. 
Passo a prendere mio figlio a scuola. Eccolo, mentre esce attorniato dai suoi compagni. Appena sale in macchina mi saluta e mi consegna la nota dei libri che dovrà comprare. La leggo e fingo un sorriso. Mio figlio si fa serio. 
A casa, mentre cucino, al telegiornale, ecco Salvini che dice: "Prima gli italiani". "Bravo!", dico io, sarebbe l’ora! 

In questa seconda versione i migranti sono spariti. Vuoi vedere che i telegiornali adesso dovranno occuparsi delle vere emergenze? Vuoi vedere che adesso, senza distrazioni, anche il nostro amico prenderà coscienza dei veri problemi e chiederà conto a chi ci governa? Vuoi vedere che, adesso, molti politici cominceranno a balbettare?
Prima gli italiani!


venerdì 7 settembre 2018

Il dolore degli altri

Tutti hanno il diritto di cercare la felicità, di volere bene e essere voluti bene. Eppure, pensiamo che questo diritto ci appartenga, ma non appartenga agli altri. Anche il dolore, quando lo viviamo sulla nostra pelle, ci appare più grande, più cocente di quello degli altri. Tutto questo è banalmente comprensibile.
Altrettanto banalmente: una madre che vede andare via un figlio non è mai felice, alla stessa maniera della nostra. Un padre che non sa come sfamare la propria famiglia non può essere felice, esattamente come nostro padre. Un figlio che deve andar via dal luogo dov'è nato, alla ricerca di condizioni di vita migliori, vive le stesse ansie e le stesse paure dei nostri figli costretti a fare la stessa cosa. 
Eppure, ciò che sembra ovvio e banale, sembra non trovare più posto nel sentire comune. E' come se si fosse strutturato un egoismo di difesa, volto a garantire le migliori condizioni di vita per se stessi, senza riguardo per quelle degli altri. Viviamo il rapporto con gli altri in contrapposizione, come se ci fossero sempre nemici in agguato da cui difendersi, ai quali impedire di entrare nel nostro contesto, nel nostro territorio, nel nostro recinto. Nemici privi di identità, di esigenze, di diritti, identici ai nostri. Anche quando ci troviamo di fronte al dolore, quello vero, che colpisce persone posizionate al di fuori del nostro recinto, l'indifferenza sembra avere preso il posto all'umana solidarietà.
Eppure, il dolore non si esaurisce lì dove nasce, si muove, non resta mai fermo. Il dolore cerca conforto, cerca nuove strade per trasformarsi in rassegnazione, cerca giustizia, cerca rimedi per cicatrizzare le ferite che produce, cerca abbracci e sorrisi, cerca mani a cui aggrapparsi e non piedi da cui essere schiacciati. Il dolore cerca un sogno da avverare che lo trasformi in felicità. 
Il dolore degli altri non possiamo tenerlo lontano. Percorre strade, valica montagne, attraversa fiumi e mari e giunge fino a noi. Presto o tardi, quel dolore si presenterà davanti alla porta di ingresso del nostro recinto. Se anziché ignorarlo o ricacciarlo indietro, anche quando è vissuto dagli altri, imparassimo a comprenderlo, condividerlo, accettarlo, mescolarlo al nostro, confortarlo, sanarlo, allora anche il nostro diventerebbe meno pesante e, forse, sarebbe più facile, anche per noi, finalmente, trovare quel sogno che lo trasformi in felicità.

lunedì 20 agosto 2018

L'algoritmo di Facebook

Funziona! Ringrazio l'algoritmo di Facebook per il tempo che ho risparmiato evitando la lettura dei post degli amici che non vedo più sulla mia bacheca. Se avessi dovuto leggerli tutti (belli, commoventi, banali, intelligenti, brutti, condivisibili, ripugnanti, lunghi, corti, copiati e incollati), dei quasi tremila amici, avrei impiegato mesi, forse anni. A dire il vero, però, io, dell'algoritmo di Facebook, non è che mi fidi poi tanto, visto che è lui a decidere cosa io debba vedere e cosa no. E allora che faccio? 
Ho deciso, mi costruisco da solo l'algoritmo che piace a me. Quando non ho notizie di un amico a cui tengo, me le vado a cercare! Vado sul profilo di Giuseppe e vedo cosa ha scritto a proposito del ponte di Genova, ascolto la musica che ha condiviso, guardo le foto del suo ultimo compleanno, mi faccio quattro risate con l’ultima genialità di Lercio e con l’immancabile video comico. Poi, visito la pagina di Rosa, quell’altra amica che ama cucinare, una ricetta giusta per me la trovo di sicuro. E poi, ancora: non ho notizie di Antonio, magari nel frattempo si è sposato e forse ha anche dei figli. Eccolo. Dio mio quant’è invecchiato e forse il bambino che tiene in braccio non è suo figlio, ma suo nipote. 
Cercando cercando, non mi sono accorto che è già sera, anzi notte. Questo mio algoritmo funziona, ma richiede ancora troppo tempo. Ci vuole qualcosa di più veloce. Ho trovato! Faccio un bel gruppo e invito tutti gli amici, così potremo scambiarci tutte le informazioni in un solo posto e visto che ci sono ne creo uno anche su whatsApp, è più veloce e immediato. Eccoci. “Ciao come state?”. Che bello, guarda quanti cuoricini e pollici in alto, cuori, sorrisi, occhiolini. “Luigi ha abbandonato il gruppo”. Anche Rosa e Nicola. Certo, non posso pretendere che tutti siano interessati, ma vedrai, resteremo i migliori! 
Sono passati diversi giorni e i miei gruppi sono diventati dei giardini. Mazzi di fiori, buongiorno in tutte le lingue del mondo. C’è anche chi augura buona colazione, buon pomeriggio e buona merenda. Che cari, alcuni hanno appena postato l’appello a non accettare l’amicizia di un certo… boh e chi se lo ricorda come si chiama. “Giuseppe ha abbandonato il gruppo…” 
Il gruppo l’ho creato io. Magari nomino amministratore Filippo, lui è il più attivo di tutti con i fiori e i buongiorno! E poi, piano piano, senza dare troppo nell’occhio, abbandono anch’io. Che vigliacco. Niente, questo algoritmo non funziona. 
Il mio dito scorre svogliato, con ritmo cadenzato, tra i post che l’algoritmo ha deciso di farmi vedere. Neanche mi fermo a leggere. Guardo le figure, come facevo quando ero piccolo con i libri. Ogni tanto sobbalzo perchè è partito l’audio di un video che non ho fatto in tempo a far scivolare verso l’alto. Inavvertitamente il mio dito tocca un’icona che non apro quasi mai: la rubrica. Eccoli. Ci sono i numeri di Giuseppe, di Nicola, di Filippo, anche quello di Rosa! Ho deciso, li chiamo! 
“Ciao Giuseppe, come stai? Davvero? E quando? Scusami ma non lo sapevo. Spero che adesso ti senti meglio. Mi farebbe piacere vederti”.
“Ciao Nicola, quanto tempo! Ricordi le serate trascorse insieme? Ma cosa mi dici? Davvero? Sono felice per te! Scusami se non ti ho fatto gli auguri, ma non lo sapevo”.
“Rosa, che piacere sentirti, sei sempre bella! Quando è successo? Viviamo in paesi vicini eppure non avevo saputo niente, mi dispiace tanto”.
Tutti li ho chiamati. Li ho invitati qui a casa mia. La casa è grande, ma è sempre vuota. A che servono le case grandi se restano vuote? 
Adesso si è riempita, sono venuti tutti. Nicola ha portato la chitarra, Rosa ha cucinato cose buonissime, Giuseppe ha portato i fiori, quelli veri, Filippo due bottiglie di vino della sua vigna, Antonio i dolci di mandorla del suo paese.
Domenica prossima andremo tutti da Luca. Lui non può camminare, ma sono sicuro che riusciremo a convincerlo a venire nel bosco insieme a noi.

mercoledì 11 luglio 2018

Cristiano Ronaldo e i "valori" in campo

La notizia dell'acquisto di Cristiano Ronaldo da parte della Juventus  ha fatto il giro del mondo in poche ore. Certo la qualità del calciatore è indiscussa ed era lecito aspettarsi le reazioni entusiastiche dei tifosi, così come i mal di pancia da parte degli avversari storici della squadra torinese.
Fuori dalle considerazioni tecniche e sportive, l'operazione in se, a mio avviso, merita qualche considerazione. Senza moralismi e preconcetti, avendo ben presente il ritorno che l'acquisto del fuoriclasse portoghese può comportare, dal punto di vista economico, la vicenda rappresenta uno specchio della società italiana e, più in generale, di quella dei paesi occidentali.
Ho scritto altre volte che il compenso riconosciuto per lo svolgimento dell'attività lavorativa, al di là dei contratti e della burocrazia, esprime il valore e la considerazione che la società attribuisce a quel lavoro. In quest'ottica i numeri sono nudi e crudi e non portano preconcetti. Vi invito a leggere la tabella che segue. Ciascuno farà le proprie considerazioni.

Cristiano Ronaldo, 34 anni, "Assunto" alla Juventus
All'anno Al mese Al giorno All'ora
 €  30.000.000  €    2.500.000  € 82.192  € 16.438
Edoardo, 30 anni, ingegnere aerospaziale alla Fiat
All'anno Al mese Al giorno All'ora
 €   24.000  €  2.000  €   66  €  13
Antonio, 40 anni, operaio, assunto alla Fiat
All'anno Al mese Al giorno All'ora
 €   15.000  €  1.250  €   41  €   8
Io la mia considerazione l'ho fatta! Operai e ingegneri spaziali, sono tra di loro più vicini di quanto pensiamo e possono lottare insieme affinchè la società riconosca il giusto valore alle persone e alle loro attività e diminuisca il divario tra la considerazione sociale del lavoro svolto da un calciatore e quello che svolgono loro.


mercoledì 4 luglio 2018

Storia e storie sinistre

Mi capita almeno una volta al giorno. Ascolto senza commentare e, puntualmente, dentro di me sento accendersi un tizzone ardente. Certe volte riesco a controllare il bruciore, altre no. Oggi è una di quelle volte che non mi va di “assuppare”. 
Voi sinistri, voi sinistrorsi, voi buonisti, voi comunisti. In genere cominci così, poi giù con il disprezzo e l’odio. Intenzionalmente, la parola “sinistra”, la utilizzi come sinonimo dell’aggettivo “sinistro”, a significare bieco, torvo, cattivo. In quest’ottica, le persone “di sinistra”, per te, diventano untori, portatori di nefandezze, di sciagure indicibili per la comunità. 
So bene che facebook è il luogo meno adatto per fare analisi socio-politiche. Qualche considerazione, però, che emerge dallo stomaco e che, prudentemente, cercherò di incanalare verso la testa, la voglio fare, rivolgendomi direttamente a te, caro amico commentatore seriale. 
Senza enfasi e retorica, giova ricordare, prima a chi si professa ancora di sinistra e poi anche a tutti gli altri, che dietro, accanto e davanti a questa parola, ci sono idee, ideali, donne e uomini, che hanno fatto la storia di questo paese, garantendo ai nostri padri, a noi, ai nostri figli e ai nostri nipoti, condizioni di vita migliori. La conquista della democrazia dopo decenni di totalitarismo e guerre, il diritto di voto alle donne nel 1945/1946, la legge Gullo che per la prima volta stabiliva che una parte dei prodotti della terra doveva andare ai contadini che la lavoravano, la riforma agraria che ha consentito di dare le terre incolte ai contadini, lo statuto dei lavoratori che nel 1970 ha per la prima volta riconosciuto la dignità dei lavoratori, il riconoscimento della previdenza per le fasce più deboli della popolazione, le lotte per il diritto alla salute e la sanità pubblica, la scuola per tutti e non solo per chi se la poteva permettere, la battaglia per l’acqua pubblica, la lotta alla criminalità mafiosa. Potrei continuare ancora riempendo pagine e pagine, ma credo possa bastare. Tutti questi che ho elencato non sono proclami, ma lotte che hanno prodotto fatti, risultati, che hanno reso migliori le nostre condizioni di vita. Sai chi le ha fatte? Sai chi c’era alla testa? Sai chi ha controllato nel corso degli anni che giungessero a compimento? Ebbene sì, ti sembrerà strano, ma è stata LA SINISTRA. Non una parola generica, ma la Sinistra fatta di donne e uomini che, in ognuno dei contesti che ho citato, non solo hanno lottato con impegno per la collettività, ma spesso hanno sacrificato anche la loro stessa vita. Centinaia di contadini, sindacalisti, attivisti politici, volontari, sono stati barbaramente uccisi perché hanno osato sfidare il potere che voleva tenerli soggiogati, privi dei loro diritti. Piccoli uomini e piccole donne che hanno reso grande questo paese. Se oggi, per una strana magia, avessero la possibilità di leggere anche uno solo dei tuoi commenti dedicati alla parola “sinistra”, sono certo che tornerebbero in vita per chiarirti come stanno le cose! 
Caro amico che frettolosamente commenti e apostrofi chi non la pensa come te, è troppo facile liquidare la storia di un secolo senza conoscerla. Faresti bene a te stesso e alla comunità che vuoi difendere “dai sinistri”, leggendo uno qualsiasi dei libri che riguardano la storia del nostro paese. Magari non troverai tutti quegli uomini di cui ti ho parlato, perché a loro non è stato dato questo onore, ma potrai facilmente rintracciare le fonti a conferma di quanto sto scrivendo. La rete, poi, oltre ai social, possiede strumenti potentissimi di ricerca che consentono di rintracciare documenti e notizie come mai prima poteva accadere. Basta solo avere l’accortezza di verificare l’attendibilità dei siti e delle notizie. Ma questo, sono sicuro, che con un pochino d’impegno sarai capace di farlo anche tu. 
Un’ultima considerazione, forse la più amara, la dedico a chi avrebbe dovuto tutelare la storia di cui ti ho parlato e non lo ha fatto. Peggio ancora l’ha infangata, vilipesa, consentendo a te e a molti altri di deriderla e schernirla. Sono tutti quelli che a vario titolo si sono fregiati e continuano a fregiarsi di appartenere a questa storia, senza nutrire quegli ideali di cui ti ho parlato a lungo. Per bramosia di potere, per calcoli di convenienza, hanno reso opaco quello che era limpido e lucente. Hanno rinnegato, nel corso degli anni, quell’idealità che ci teneva uniti, intenti a difendere il personale e non il collettivo, i privilegi e non i diritti, gli affari e non i servizi, l’egoismo e non la solidarietà. 
A questi eredi ingenerosi devi dire grazie, perché è grazie a loro che hai avuto aperta la strada alle tue esternazioni scomposte e poco informate. Grazie a loro e ai loro comportamenti riesci a fare breccia nel sentire comune. 
Se oggi mi chiedi: “Sei di sinistra?” Ti rispondo con convinzione: “Si lo sono! e continuerò ad esserlo”. Ma se mi chiedi: “In quale partito della sinistra ti riconosci? Allora ti rispondo che non lo so! Con rabbia, perché dio solo sa quanto bisogno di sinistra c’è in questo paese, proprio adesso.

martedì 19 giugno 2018

Contro l'incontinenza verbale

Siamo liberi di dire ciò che vogliamo e quando lo vogliamo, ci mancherebbe. In atto, però, sembra esserci una vera e propria incontinenza verbale che porta molti di noi a intervenire sugli argomenti più disparati, con una frequenza e un vigore a dir poco sorprendenti. 
Dalla politica allo sport, dalla medicina ai temi di geopolitica, dai cambiamenti climatici alla fisica quantistica, dall'impasto della pizza ai buchi neri, dai farmaci alle strategie energetiche, dall'intolleranza al glutine agli investimenti in borsa, dalla formazione della nazionale alle coppie di fatto. Nulla di male se lo facessimo con buon senso, magari dopo avere studiato. Quando invece lo facciamo senza la necessaria conoscenza, non esercitiamo il sacrosanto diritto della libera espressione, ma piuttosto ci rendiamo responsabili di produrre un danno alla comunità e a noi stessi. 
Dici che allora dobbiamo lasciare parlare solo gli esperti o gli intellettuali? Tutt’altro, non è questo che voglio dire. La nostra opinione la possiamo esprimere anche su temi per i quali non siamo super esperti, a patto di avere, ancora una volta il buon senso di informarci e studiare. 
Mi chiedi dove possiamo informarci? Partiamo da un primo e importante assunto: un post su internet ha la stessa attendibilità di un biglietto di carta stropicciato, dove qualcuno ha scritto qualcosa, che abbiamo trovato per strada. Se lo raccogliamo, crediamo a quello che c’è scritto e lo diffondiamo ai nostri amici, non contribuiamo a informarli e a far crescere la nostra comunità, ma piuttosto la rendiamo vulnerabile, meno forte e coesa. Se poi, in maniera subdola, qualcuno diffonde quotidianamente, ad arte, centinaia di "biglietti" con false informazioni, e noi li raccogliamo, li leggiamo e li distribuiamo senza verificarne l’attendibilità, contribuiamo a realizzare un piano criminale che altri hanno progettato e del quale, forse, alcuni di noi neanche si rendono conto. 
E allora che fare? Basterebbe non affidarsi ai bigliettini (post) per formare la nostra coscienza, preferendo altre fonti come i libri, i giornali, le televisioni, i siti internet. Dovremmo avere cura, però, di verificarne l'attendibilità consultandone diversi e di diverso orientamento, per acquisire obiettività e non commentare da tifosi. 
Qualcuno obbietterà che ci vuole troppo tempo. È vero. Ma chi lo ha detto che dobbiamo intervenire su ogni argomento sempre e comunque?

martedì 12 giugno 2018

Cronache ordinarie di (s) umanità

Lampedusa, Porta d'Europa (2012)
Sono giorni difficili, complicati, tristi. Non mi riconosco nel pensiero che sembra essere dominante, nell'egoismo fine a sé stesso, nella mancanza di solidarietà umana che sembra pervadere il nostro paese. Mi chiedo come siamo potuti arrivare a tanto, di chi siano le responsabilità, cosa abbiamo sbagliato e cosa ho sbagliato io. Risposte ce ne sono tante, ma piuttosto che avventurarmi in analisi sociologiche e geopolitiche, vi voglio raccontare un piccolo episodio, emblematico, del quale sono stato testimone. 
“Non sono razzista”. Esordisce così la signora che mi sta seduta di fronte. Il cameriere ha appena portato un piatto ricco di ogni ben di Dio, pesce di tutti i tipi. È solo l’antipasto e già pregusto il resto del banchetto. 
“Però ogni volta che mangio pesce non posso non pensarci”, prosegue la signora. “Ci hanno tolto pure il piacere di mangiare il pesce. Nella nostra famiglia prima si mangiava due o tre volte a settimana, adesso prendo solo quello surgelato che viene dal nord Europa”. 
Annuisco sorpreso e sorridente, non capisco dove vuole andare a parare la signora con queste parole, ma soprattutto con la premessa “Non sono razzista”. Appena il cameriere serve il risotto alla pescatora, la signora prosegue con le sue esternazioni. 
“Noi viviamo a Siracusa e di pesce fresco se ne pesca abbastanza. Compravo sempre il pesce azzurro: sarde, acciughe, sgombri. Da quando però ci sono tutti questi immigrati sui barconi, non lo compro più il pesce fresco”. 
La guardo incredulo. “Come mai?”, le chiedo. 
“Vede, non passa giorno che non si sente di qualcuno di questi neri che annega in mare. Sicuramente i pesci trovano quei corpi e si scialano a mangiare e a me il solo pensiero mi fa venire il vomito. Mi schifìu a mangiare il pesce pensando a cosa possono aver mangiato!” 
Un gambero del risotto mi si piazza tra la gola e la trachea e non vuole saperne di muoversi da quella posizione. Tossisco, arrossisco, mi danno da bere un po’ d’acqua. Piano piano mi riprendo. La signora, sollevata, continua le sue esternazioni. 
“Quant’avi ca ci sunnu ‘sti niuri, non si raggiuna cchiù! Mi livaru puru u piaciri di manciari u pisci du nostru mari! Ai semafori se ne incontrano di tutte le razze, ma quando vedo quelli neri mi spavento e mi arrabbio!” 
È troppo per me. Fingo un nuovo strozzamento, tossisco e mi alzo da tavola. Vado fuori a prendere aria. È sera, il ristorante è sul mare e si vedono le barche dei pescatori a largo. Decido di rientrare. Prometto a me stesso che non dirò nulla, cambierò discorso, tanto sarebbe inutile. Non voglio rovinare la cena ai commensali. La signora mi chiede se mi sono ripreso, ma non capisco se ha a cuore la mia salute o vuole solo riprendere il discorso. Ricomincia: 
“Lei non deve pensare che sono razzista, perché queste persone mi fanno pena, però sarebbe meglio che se ne stessero a casa loro, senza importunarci. Noi, siamo gente altruista. Lo vede a mio figlio, per più di un mese si è alzato tutte le notti per curare un gattino che stava male. Con una cannuccia gli faceva pure il clistere a quella povera bestiolina. Per fortuna lo ha salvato e si è poi ripreso e se lo vede adesso è tantu beddu!”. 
I camerieri portano la torta nuziale. Ne approfitto per alzarmi e andare via, non ho più né fame, né voglia di festeggiare. Guardo il mare, le barche, le lampare. Penso ai quegli uomini e quelle donne, ai loro bambini in balìa delle onde, alla loro speranza di giungere in una terra bella e accogliente che gli consenta solo di vivere. Loro non sanno ancora di avere inciso così profondamente nel cambio di dieta della signora, ma soprattutto non sanno della loro sfortuna, quella di non essere nati gatti.

sabato 19 maggio 2018

Telegiornali a reti unificate

Più della metà del tempo dei telegiornali di oggi, della Tv pubblica e privata, è stata e sarà dedicata al matrimonio dei due giovani rampolli della corona inglese. Negli stessi telegiornali, sono state dimenticate e non trovano più spazio le notizie delle morti sul lavoro di tanti operai avvenute negli ultimi giorni. 
Certa stampa, sembra soffrire di cecità a corrente alternata: vede come emergenza l'arrivo dei migranti, ma è cieca davanti all'ondata di migrazione che vede coinvolti migliaia di giovani italiani, siciliani in particolare; è pronta a riferire l'ultimo rapporto ISTAT sull'aumento dell'occupazione (precaria) e non vede il numero impressionante di ultracinquantenni che hanno perso il lavoro e non lo trovano più. Potrei continuare, ma ciascuno può aggiungere all'elenco tante altre voci, non è difficile trovarle.
Intanto, continuano a riferire, con tanto di inviato, con attenzione maniacale, i dettagli degli abiti reali e del menù della cerimonia, sbirciano dal buco della serratura nell'ultimo episodio di cronaca nera, sguinzagliano reporter alla ricerca di Di Maio e Salvini, nella speranza di carpire il nome del futuro presidente del Consiglio.
Come sorprendersi dell'insofferenza verso la politica, del disgregamento sociale, dell'insoddisfazione imperante, se ogni giorno registriamo lo scollamento clamoroso tra la vita delle persone e la sua rappresentazione, falsa e drogata, a reti unificate?