martedì 25 settembre 2018

Non se ne può più


Da un po' di tempo prediligo i ragionamenti banali. Vi invito a seguire questo gioco  leggendo il testo fino alla fine, dove troverete altre indicazioni. 

Adesso basta! Non se ne può più! Davvero! Esco stamattina per andare al Centro per l'impiego e trovo due migranti appoggiati alla mia auto che ascoltano la loro musica con gli auricolari. Infastidito, gli faccio cenno di spostarsi. Si scansano. Salgo in macchina e vado via. Al CPI, dopo un'ora d'attesa, mi dicono che non ci sono novità. Niente di niente. Per me, neanche un posto da lavapiatti. 
Ne approfitto per passare dalla banca. Meglio controllare il saldo del conto, ho l'impressione che questo mese non ce la farò a pagare l'ultima bolletta! Giro, giro, ma di parcheggi neanche l'ombra. Ecco un altro migrante. Mi fa cenno di parcheggiare. Mal volentieri decido di accettare l'invito, gli metto in mano cinquanta centesimi e entro in banca. Anche qui, dopo un'ora di attesa, chiedo all'impiegato notizie del mio conto. Mi guarda severo, mentre accenno un sorriso stentato. Mi dice che il mio conto segna -30, come il gelo che sento dopo la sua risposta. Chiedo: potrei avere un fido, magari fino a quando ritrovo un lavoro? Il cassiere mi guarda e adesso sorride, io mi faccio serio. Dice che senza un lavoro non possono darmi manco un euro. Esco dalla banca con la stessa espressione del mio cane quando è stato bastonato dal vicino stronzo. "Tutto a posto, cucì!", mi dice il parcheggiatore nero. "Vaffanculu, puru tu!", gli rispondo salendo in macchina. 
Visto che ci sono, passo dal medico. Le pillole per la pressione sono finite e oggi ne ho più bisogno che mai. Dopo un'ora d'attesa, tre informatori scientifici a cui ho dovuto cedere il posto e una donna araba che è entrata prima di me, finalmente arriva il mio turno. Il dottore, però, dice che non può prescrivermi il farmaco, perché a lui risulta che ne ho preso già una scatola il mese scorso e quindi devo aspettare ancora una settimana. Insisto, ma non vuole sentire ragioni. Esco dall'ambulatorio con il morale a terra. In compenso la pressione è bella alta! In farmacia chiedo che venga timbrata la scatola del farmaco, così chiederò il rimborso, anche se il ticket dovrò pagarlo comunque. 
Guardo l'orologio e mi accorgo che è passato da poco mezzogiorno. Mi precipito al supermercato, devo prendere qualcosa da mangiare. Tra gli scaffali sono bravissimo a scorgere i cartellini delle offerte. Con soli 15 euro sono riuscito a riempire metà carrello. Dopo mezz'ora di fila alla cassa, finalmente è il mio turno. La porta automatica si apre e pronta, con la mano protesa, una zingara con un bambino in braccio mi chiede l'elemosina. La ritrae subito dopo avere incrociato il mio sguardo. 
Davanti alla stazione eccoli quei "mangia pane a tradimento". Tunisini, marocchini, africani, bivaccano tutto il giorno qui e chissà in che giri sono entrati. 
Passo a prendere mio figlio a scuola. Eccolo, mentre esce attorniato dai suoi compagni, molti dei quali, manco a dirlo, sono stranieri. Appena sale in macchina mi saluta e mi consegna la nota dei libri che dovrà comprare. La leggo e fingo un sorriso. Mio figlio si fa serio. 
A casa, mentre cucino, al telegiornale parlano della nave con più di cento migranti bloccata nel porto di Catania. Ecco Salvini che gliene dice quattro a tutti questi balordi che stanno rovinando l'Italia. "Prima gli italiani", dice alla giornalista che lo sta intervistando. "Bravo!", dico io. 

Ecco. Quella che ho raccontato potrebbe essere una normale giornata, vissuta da tanti italiani. Adesso provo a riscriverla, facendo un'operazione di sottrazione: tolgo dal racconto tutte le scene con la presenza di migranti. 

Esco stamattina per andare al Centro per l'impiego. Al CPI, dopo un'ora d'attesa, mi dicono che non ci sono novità. Niente di niente. Per me, neanche un posto da lavapiatti. Ne approfitto per passare dalla banca. Meglio controllare il saldo del conto, ho l'impressione che questo mese non ce la farò a pagare l'ultima bolletta!  Anche qui, dopo un'ora di attesa, chiedo all'impiegato notizie del mio conto. Mi guarda severo, mentre io accenno un sorriso stentato. Mi dice che il mio conto segna -30, come il gelo che sento dopo la sua risposta. Chiedo: potrei avere un fido, magari fino a quando ritrovo un lavoro? Il cassiere mi guarda e adesso sorride, io mi faccio serio. Dice che senza un lavoro non possono darmi manco un euro. Esco dalla banca con la stessa espressione del mio cane quando è stato bastonato dal vicino stronzo. 
Visto che ci sono, passo dal medico. Le pillole per la pressione sono finite e oggi ne ho più bisogno che mai. Dopo un'ora d'attesa, tre informatori scientifici a cui ho dovuto cedere il posto, finalmente arriva il mio turno. Il dottore, però, dice che non può prescrivermi il farmaco, perché a lui risulta che ne ho preso già una scatola il mese scorso e quindi devo aspettare ancora una settimana. Insisto, ma non vuole sentire ragioni. Esco dall'ambulatorio con il morale a terra. In compenso la pressione è bella alta! In farmacia chiedo che venga timbrata la scatola del farmaco, così chiederò il rimborso, anche se il ticket dovrò pagarlo comunque. 
Guardo l'orologio e mi accorgo che è passato da poco mezzogiorno. Mi precipito al supermercato, devo prendere qualcosa da mangiare. Tra gli scaffali sono bravissimo a scorgere i cartellini delle offerte. Con soli 15 euro sono riuscito a riempire metà carrello. Dopo mezz'ora di fila alla cassa, finalmente è il mio turno. 
Passo a prendere mio figlio a scuola. Eccolo, mentre esce attorniato dai suoi compagni. Appena sale in macchina mi saluta e mi consegna la nota dei libri che dovrà comprare. La leggo e fingo un sorriso. Mio figlio si fa serio. 
A casa, mentre cucino, al telegiornale, ecco Salvini che dice: "Prima gli italiani". "Bravo!", dico io, sarebbe l’ora! 

In questa seconda versione i migranti sono spariti. Vuoi vedere che i telegiornali adesso dovranno occuparsi delle vere emergenze? Vuoi vedere che adesso, senza distrazioni, anche il nostro amico prenderà coscienza dei veri problemi e chiederà conto a chi ci governa? Vuoi vedere che, adesso, molti politici cominceranno a balbettare?
Prima gli italiani!


venerdì 7 settembre 2018

Il dolore degli altri

Tutti hanno il diritto di cercare la felicità, di volere bene e essere voluti bene. Eppure, pensiamo che questo diritto ci appartenga, ma non appartenga agli altri. Anche il dolore, quando lo viviamo sulla nostra pelle, ci appare più grande, più cocente di quello degli altri. Tutto questo è banalmente comprensibile.
Altrettanto banalmente: una madre che vede andare via un figlio non è mai felice, alla stessa maniera della nostra. Un padre che non sa come sfamare la propria famiglia non può essere felice, esattamente come nostro padre. Un figlio che deve andar via dal luogo dov'è nato, alla ricerca di condizioni di vita migliori, vive le stesse ansie e le stesse paure dei nostri figli costretti a fare la stessa cosa. 
Eppure, ciò che sembra ovvio e banale, sembra non trovare più posto nel sentire comune. E' come se si fosse strutturato un egoismo di difesa, volto a garantire le migliori condizioni di vita per se stessi, senza riguardo per quelle degli altri. Viviamo il rapporto con gli altri in contrapposizione, come se ci fossero sempre nemici in agguato da cui difendersi, ai quali impedire di entrare nel nostro contesto, nel nostro territorio, nel nostro recinto. Nemici privi di identità, di esigenze, di diritti, identici ai nostri. Anche quando ci troviamo di fronte al dolore, quello vero, che colpisce persone posizionate al di fuori del nostro recinto, l'indifferenza sembra avere preso il posto all'umana solidarietà.
Eppure, il dolore non si esaurisce lì dove nasce, si muove, non resta mai fermo. Il dolore cerca conforto, cerca nuove strade per trasformarsi in rassegnazione, cerca giustizia, cerca rimedi per cicatrizzare le ferite che produce, cerca abbracci e sorrisi, cerca mani a cui aggrapparsi e non piedi da cui essere schiacciati. Il dolore cerca un sogno da avverare che lo trasformi in felicità. 
Il dolore degli altri non possiamo tenerlo lontano. Percorre strade, valica montagne, attraversa fiumi e mari e giunge fino a noi. Presto o tardi, quel dolore si presenterà davanti alla porta di ingresso del nostro recinto. Se anziché ignorarlo o ricacciarlo indietro, anche quando è vissuto dagli altri, imparassimo a comprenderlo, condividerlo, accettarlo, mescolarlo al nostro, confortarlo, sanarlo, allora anche il nostro diventerebbe meno pesante e, forse, sarebbe più facile, anche per noi, finalmente, trovare quel sogno che lo trasformi in felicità.