Mi muovo tra stanze familiari percorrendo spazi conosciuti e altri da esplorare, come in un palazzo a più piani collegati da scale traballanti e improbabili ascensori.. Spesso mi fermo al piano terreno, quello "personale", rovistando nella caotica e fredda stanze degli affetti, annaspando lentamente in quella dei ricordi, quindi a picconate cerco di aprire un varco in quella del futuro che non ha finestre.
Non faccio in tempo a muovermi tra queste stanze che un suono stridulo e sinistro mi porta a correre lungo le scale per raggiungere il piano "lavoro" dove sono a rischio le stesse mura portanti. Cammino in queste stanze osservando con rabbia le macerie che ogni giorno si accumulano in quantità superiori a quanto io riesca a rimuoverne.
Salgo ancora e per le scale incontro uomini, donne, bambini che guardano fissi nella stessa vuota direzione. Giunto al piano "Sociale" sono frastornato dalle voci delle tante persone che si muovono in tutte le direzioni, da una stanza all'altra, poi si arrestano e prendono una nuova direzione, poi ancora, ancora, senza mai arrestarsi. Mi muovo lento tra quelle stanze che mi appaiono estranee, vuote. Nessuno nota nessuno.
Scappo via.. ancora un piano. Apro una porta e sono sul terrazzo. Non ci sono muri, solo alberi che puntano maestosi verso il cielo. Niente pavimenti, solo terra e erba. Il silenzio delle voci è riempito dal canto delle cicale, dal dialogo di piccoli uccelli e dallo scorrere dell'acqua lungo un ruscello che va verso il mare calmo. La sera sta per arrivare preannunciata dal cambio scena del sole che con lo sfumare lento del cielo in tinte che prima di scurirsi si accendono di oro, lascia la scena alla luna ed alle stelle impazienti. Dormirò qui, è la mia casa.