venerdì 7 settembre 2018

Il dolore degli altri

Tutti hanno il diritto di cercare la felicità, di volere bene e essere voluti bene. Eppure, pensiamo che questo diritto ci appartenga, ma non appartenga agli altri. Anche il dolore, quando lo viviamo sulla nostra pelle, ci appare più grande, più cocente di quello degli altri. Tutto questo è banalmente comprensibile.
Altrettanto banalmente: una madre che vede andare via un figlio non è mai felice, alla stessa maniera della nostra. Un padre che non sa come sfamare la propria famiglia non può essere felice, esattamente come nostro padre. Un figlio che deve andar via dal luogo dov'è nato, alla ricerca di condizioni di vita migliori, vive le stesse ansie e le stesse paure dei nostri figli costretti a fare la stessa cosa. 
Eppure, ciò che sembra ovvio e banale, sembra non trovare più posto nel sentire comune. E' come se si fosse strutturato un egoismo di difesa, volto a garantire le migliori condizioni di vita per se stessi, senza riguardo per quelle degli altri. Viviamo il rapporto con gli altri in contrapposizione, come se ci fossero sempre nemici in agguato da cui difendersi, ai quali impedire di entrare nel nostro contesto, nel nostro territorio, nel nostro recinto. Nemici privi di identità, di esigenze, di diritti, identici ai nostri. Anche quando ci troviamo di fronte al dolore, quello vero, che colpisce persone posizionate al di fuori del nostro recinto, l'indifferenza sembra avere preso il posto all'umana solidarietà.
Eppure, il dolore non si esaurisce lì dove nasce, si muove, non resta mai fermo. Il dolore cerca conforto, cerca nuove strade per trasformarsi in rassegnazione, cerca giustizia, cerca rimedi per cicatrizzare le ferite che produce, cerca abbracci e sorrisi, cerca mani a cui aggrapparsi e non piedi da cui essere schiacciati. Il dolore cerca un sogno da avverare che lo trasformi in felicità. 
Il dolore degli altri non possiamo tenerlo lontano. Percorre strade, valica montagne, attraversa fiumi e mari e giunge fino a noi. Presto o tardi, quel dolore si presenterà davanti alla porta di ingresso del nostro recinto. Se anziché ignorarlo o ricacciarlo indietro, anche quando è vissuto dagli altri, imparassimo a comprenderlo, condividerlo, accettarlo, mescolarlo al nostro, confortarlo, sanarlo, allora anche il nostro diventerebbe meno pesante e, forse, sarebbe più facile, anche per noi, finalmente, trovare quel sogno che lo trasformi in felicità.

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