mercoledì 16 dicembre 2015

Sacco e Vanzetti, due migranti italiani

Il 9 aprile 1927, Winfield Wilbar, District Attorney della Contea di Norfolk, riuní la Corte Superiore di Dedham, presieduta dal giudice Webster Thayer, per notificare la sentenza di morte a Nicola Sacco e a Bartolomeo Vanzetti. Prima che la sentenza fosse ufficialmente emessa, i due imputati ricevettero però l'invito a pronunciare la rituale dichiarazione. Sacco parlò brevemente, a causa della sua scarsa padronanza della lingua inglese. Vanzetti, invece, pronunciò una appassionata arringa e non esitò a mettere sotto accusa i suoi persecutori. Ecco il testo della sua risposta alla domanda di rito «Bartolomeo Vanzetti, avete qualcosa da dire perché la sentenza di morte non sia pronunciata contro di voi?».
Bartolomeo Vanzetti

Sí. Quel che ho da dire è che sono innocente, non soltanto del delitto di Braintree, ma anche di quello di Bridgewater. Che non soltanto sono innocente di questi due delitti, ma che in tutta lamia vita non ho mai rubato né ucciso né versato una goccia di sangue. Questo è ciò che voglio dire.
E non è tutto. Non soltanto sono innocente di questi due delitti, non soltanto in tutta la mia vita non ho rubato né ucciso né versato una goccia di sangue, ma ho combattuto anzi tutta la vita, da quando ho avuto l'età della ragione, per eliminare il delitto dalla terra.
Queste due braccia sanno molto bene che non avevo bisogno di andare in mezzo alla strada a uccidere un uomo, per avere del denaro. Sono in grado di vivere, con le mie due braccia, e di vivere bene. Anzi, potrei vivere anche senza lavorare, senza mettere il mio braccio al servizio degli altri.
Ho avuto molte possibilità di rendermi indipendente e di vivere una vita che di solito si pensa sia migliore che non guadagnarsi il pane col sudore della fronte.
Mio padre in Italia è in buone condizioni economiche. Potevo tornare in Italia ed egli mi avrebbe sempre accolto con gioia, a braccia aperte. Anche se fossi tornato senza un centesimo in tasca, mio padre avrebbe potuto occuparmi nella sua proprietà, non a faticare ma a commerciare, o a sovraintendere alla terra che possiede. Egli mi ha scritto molte lettere in questo senso, ed altre me ne hanno scritte i parenti, lettere che sono in grado di produrre.
Certo, potrebbe essere una vanteria. Mio padre e i miei parenti potrebbero vantarsi e dire cose che possono anche non essere credute. Si può anche pensare che essi sono poveri in canna, quando io affermo che avevano i mezzi per darmi una posizione qualora mi fossi deciso a fermarmi, a farmi una famiglia, a cominciare una esistenza tranquilla. Certo. Ma c'è gente che in questo stesso tribunale poteva testimoniare che ciò che io ho detto e ciò che mio padre e i miei parenti mi hanno scritto non è una menzogna, che realmente essi hanno la possibilità di darmi una posizione quando io lo desideri.
Vorrei giungere perciò ad un'altra conclusione, ed è questa: non soltanto non è stata provata la mia partecipazione alla rapina di Bridgewater, non soltanto non è stata provata la mia partecipazione alla rapina ed agli omicidi di Braintree né è stato provato che io abbia mai rubato né ucciso né versato una goccia di sangue in tutta la mia vita; non soltanto ho lottato strenuamente contro ogni delitto, ma ho rifiutato io stesso i beni e le glorie della vita, i vantaggi di una buona posizione, perché considero ingiusto lo sfruttamento dell'uomo. Ho rifiutato di mettermi negli affari perché comprendo che essi sono una speculazione ai danni degli altri: non credo che questo sia giusto e perciò mi rifiuto di farlo.
Vorrei dire, dunque, che non soltanto sono innocente di tutte le accuse che mi sono state mosse, non soltanto non ho mai commesso un delitto nella mia vita — degli errori forse, ma non dei delitti — non soltanto ho combattuto tutta la vita per eliminare i delitti, i crimini che la legge ufficiale e la morale ufficiale condannano, ma anche il delitto che la morale ufficiale e la legge ufficiale ammettono e santificano: lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo. E se c'è una ragione per cui io sono qui imputato, se c'è una ragione per cui potete condannarmi in pochi minuti, ebbene, la ragione è questa e nessun'altra.
Chiedo scusa. I giornali hanno riferito le parole di un galantuomo, il migliore che i miei occhi abbiano visto da quando sono nato: un uomo la cui memoria durerà e si estenderà, sempre. più vicina e più cara al popolo, nel cuore stesso del popolo, almeno fino a quando durerà l'ammirazione per la bontà e per lo spirito di sacrificio. Parlo di Eugenio Debs. Nemmeno un cane — egli ha detto — nemmeno un cane che ammazza i polli avrebbe trovato una giuria americana disposta a condannarlo sulla base delle prove che sono state prodotte contro di noi. Quell'uomo non era con me a Plymouth né con Sacco a Boston, il giorno del delitto. Voi potete sostenere che è arbitrario ciò che noi stiamo affermando, che egli era onesto e riversava sugli altri la sua onestà, che egli era incapace di fare il male e riteneva ogni uomo incapace di fare il male.
Certo, può essere verosimile ma non lo è, poteva essere verosimile ma non lo era: quell'uomo aveva una effettiva esperienza di tribunali, di carceri e di giurie. Proprio perché rivendicava al mondo un po' di progresso, egli fu perseguitato e diffamato dall'infanzia alla vecchiaia, e in effetti è morto non lontano dal carcere.

Egli sapeva che siamo innocenti, come lo sanno tutti gli uomini di coscienza, non soltanto in questo ma in tutti i paesi del mondo: gli uomini che hanno messo a nostra disposizione una notevolesomma di denaro a tempo di record sono tuttora al nostro fianco, il fiore degli uomini d'Europa, i migliori scrittori, i piú grandi pensatori d'Europa hanno manifestato in nostro favore. I popoli delle nazioni straniere hanno manifestato in nostro favore.
È possibile che soltanto alcuni membri della giuria, soltanto due o tre uomini che condannerebbero la loro madre, se facesse comodo ai loro egoistici interessi o alla fortuna del loro mondo; èpossibile che abbiano il diritto di emettere una condanna che il mondo, tutto il mondo, giudica una ingiustizia, una condanna che io so essere una ingiustizia? Se c'è qualcuno che può sapere se essa è giusta o ingiusta, siamo io e Nicola Sacco. Lei ci vede, giudice Thayer: sono sette anni che siamo chiusi in carcere. Ciò che abbiamo sofferto, in questi sette anni, nessuna lingua umana può dirlo,  eppure — lei lo vede — davanti a lei non tremo — lei lo vede — la guardo dritto negli occhi, non arrossisco, non cambio colore, non mi vergogno e non ho paura.
 Eugenio Debs diceva che nemmeno un cane — qualcosa di paragonabile a noi — nemmeno un cane che ammazza i polli poteva essere giudicato colpevole da una giuria americana con le prove che sono state prodotte contro di noi. Io dico che nemmeno a un cane rognoso la Corte Suprema del Massachusetts avrebbe respinto due volte l'appello — nemmeno a un cane rognoso.
Si è concesso un nuovo processo a Madeiros perché il giudice o aveva dimenticato o aveva omesso di ricordare alla giuria che l'imputato deve essere considerato innocente fino al momento incui la sua colpevolezza non è provata in tribunale, o qualcosa del genere. Eppure, quell'uomo ha confessato. Quell'uomo era processato e ha confessato, ma la Corte gli concede un altro processo.

Sacco e Vanzetti
Noi abbiamo dimostrato che non poteva esistere un altro giudice sulla faccia della terra più ingiusto e crudele di quanto lei, giudice Thayer, sia stato con noi. Lo abbiamo dimostrato. Eppure ci si rifiuta ancora un nuovo processo. Noi sappiamo che lei nel profondo del suo cuore riconosce di esserci stato contro fin dall'inizio, prima ancora di vederci. Prima ancora di vederci lei sapeva che eravamo dei radicali, dei cani rognosi. Sappiamo che lei si è rivelato ostile e ha parlato di noi esprimendo il suo disprezzo con tutti i suoi amici, in treno, al Club dell'Università di Boston, al Club del Golf di Worcester, nel Massachusetts. Sono sicuro che se coloro che sanno tutto ciò che lei ha detto contro di noi avessero il coraggio civile di venire a testimoniare, forse Vostro Onore — e mi dispiace dirlo perché lei è un vecchio e anche mio padre è un vecchio come lei — forse Vostro Onore siederebbeaccanto a noi, e questa volta con piena giustizia.
Quando ha emesso la sentenza contro di me al processo di Plymouth, lei ha detto — per quanto mi è dato ricordare in buona fede — che i delitti sono in accordo con le mie convinzioni — o qualcosa del genere — ma ha tolto un capo d'imputazione, se ricordo esattamente, alla giuria. La giuria era cosí prevenuta contro di me che mi avrebbe giudicato colpevole di tutte e due le imputazioni, per il solo fatto che erano soltanto due. Ma mi avrebbe giudicato colpevole di una dozzina di capi d'accusa anche contro le istruzioni di Vostro Onore. Naturalmente, io ricordo che lei disse che non c'era alcuna ragione di ritenere che io avessi avuto l'intenzione di uccidere qualcuno, anche se ero un bandito, facendo cadere cosi l'imputazione di tentato omicidio. Bene, sarei stato giudicato colpevole anche di questo? Se sono onesto debbo riconoscere che fu lei a togliere di mezzo quell'accusa, giudicandomi soltanto per tentato furto con armi, o qualcosa di simile. Ma lei, giudice Thayer, mi ha dato per quel tentato furto una pena maggiore di quella comminata a tutti i 448 carcerati di Charlestown che hanno attentato alla proprietà, che hanno rubato; eppure nessuno di loro aveva una sentenza di solo tentato furto come quella che lei mi aveva dato.
Se fosse possibile formare una commissione che si recasse sul posto, si potrebbe controllare se è vero o no. A Charlestown ci sono ladri di professione che sono stati in metà delle galere degli Stati Uniti, gente che ha rubato o che ha ferito un uomo sparandogli. E solo per caso costui si è salvato, non è morto. Bene, la maggior parte di costoro, colpevoli senza discussione, per autoconfessione o per chiamata di correo dei complici, ha ottenuto da 8 a 10, da 8 a 12, da 10 a 15. Nessuno di loro è stato condannato da 12 a 15 anni come lo sono stato io da lei, per tentato furto. E per di più lei sapeva che non ero colpevole. Lei sa che la mia vita, la mia vita pubblica e privata in Plymouth, dove ho vissuto a lungo, era cosí esemplare che uno dei piú grandi timori del pubblico ministero Katzmann era proprio questo che giungessero in tribunale le prove della nostra vita e della nostracondotta. Egli le ha tenute fuori con tutte le sue forze, e c'è riuscito.
Lei sa che se al primo processo, a Plymouth, avessi avuto a difendermi l'avvocato Thompson, la giuria non mi avrebbe giudicato colpevole. Il mio primo avvocato era un complice di mister Katzmann, e lo è ancora. Il mio primo avvocato difensore, mister Vahey, non mi ha difeso: mi ha venduto per trenta monete d'oro come Giuda vendette Gesú Cristo. Se quell'uomo non è arrivato a dire a lei o a mister Katzmann che mi sapeva colpevole, ciò è avvenuto soltanto perché sapeva che ero innocente. Quell'uomo ha fatto tutto ciò che indirettamente poteva danneggiarmi. Ha fatto alla giuria un lungo discorso intorno a ciò che non aveva alcuna importanza, e sui nodi essenziali delprocesso è passato sopra con poche parole o in assoluto silenzio. Tutto questo era premeditato, per dare alla giuria la sensazione che il mio difensore non aveva niente di valido da dire, non avevaniente di valido da addurre a mia difesa, e perciò si aggirava nelle parole di vacui discorsi che non significavano nulla e lasciava passare i punti essenziali o in silenzio o con una assai debole resistenza.
Siamo stati processati in un periodo che è già passato alla storia. Intendo, con questo, un tempo dominato dall'isterismo, dal risentimento e dall'odio contro il popolo delle nostre origini, contro gli stranieri, contro i radicali, e mi sembra — anzi, sono sicuro — che tanto lei che mister Katzmann abbiate fatto tutto ciò che era in vostro potere per eccitare le passioni dei giurati, i pregiudizi dei giurati contro di noi.
Io ricordo che mister Katzmann ha presentato un teste d'accusa, un certo Ricci. Io ho ascoltato quel testimone. Sembrava che non avesse niente da dire. Sembrava sciocco produrre un testimone che non aveva niente da dire. Sembrava sciocco, se era stato chiamato solo per dire alla giuria che era il capo di quell'operaio che era presente sul luogo del delitto e che chiedeva di testimoniare a nostro favore, sostenendo che noi non eravamo tra i banditi. Quell'uomo, il testimone Ricci, ha dichiarato di aver trattenuto l'operaio al lavoro, invece di mandarlo a vedere che cosa era accaduto, dando cosí l'impressione che l'altro non avesse potuto vedere ciò che accadeva nella strada. Ma questo non era molto importante. Davvero importante è che quell'uomo ha sostenuto che era falsa la testimonianza del ragazzo che riforniva d'acqua la sua squadra d'operai. Il ragazzo aveva dichiaratod'aver preso un secchio e di essersi recato ad una certa fontana ad attingere acqua per la squadra.
 Non era vero — ha sostenuto il testimone Ricci — e perciò il ragazzo non poteva aver visto i banditi e non era in grado quindi di provare che né io né Sacco fossimo tra gli assassini. Secondo lui, non poteva essere vero che il ragazzo fosse andato a quella fontana perché si sapeva che i tedeschi ne avevano avvelenato l'acqua. Ora, nella cronaca del mondo di quel tempo non è mai stato riferito un episodio del genere. Niente di simile è avvenuto in America: abbiamo letto di numerose atrocità compiute in Europa dai tedeschi durante la guerra, ma nessuno può provare né sostenere che i tedeschi erano tanto feroci da avvelenare una fontana in questa regione, durante la guerra.
Tutto questo sembrerebbe non aver nulla a che fare con noi, direttamente. Sembra essere un elemento casuale capitato tra gli altri che rappresentano invece la sostanza del caso. Ma la giuria ciaveva odiati fin dal primo momento perché eravamo contro la guerra. La giuria non si rendeva conto che c'è della differenza tra un uomo che è contro la guerra perché ritiene che la guerra sia ingiusta, perché non odia alcun popolo, perché è un cosmopolita, e un uomo invece che è contro la guerra perché è in favore dei nemici, e che perciò si comporta da spia, e commette dei reati nel paese in cui vive allo scopo di favorire i paesi nemici. Noi non siamo uomini di questo genere. Katzmann lo sa molto bene. Katzmann sa che siamo contro la guerra perché non crediamo negli scopi per cui si proclama che la guerra va fatta. Noi crediamo che la guerra sia ingiusta e ne siamo sempre più convinti dopo dieci anni che scontiamo — giorno per giorno — le conseguenze e i risultati dell'ultimo conflitto. Noi siamo più convinti di prima che la guerra sia ingiusta, e siamo contro di essa ancor più di prima. Io sarei contento di essere condannato al patibolo, se potessi dire all'umanità: «State in guardia. Tutto ciò che vi hanno detto, tutto ciò che vi hanno promesso era una menzogna, era un'illusione, era un inganno, era una frode, era un delitto. Vi hanno promesso la libertà. Dov'è la libertà?
Protesta in favore di Sacco e Vanzetti
Vi hanno promesso la prosperità. Dov'è la prosperità? Dal giorno in cui sono entrato a Charlestown, sfortunatamente la popolazione del carcere è raddoppiata di numero. Dov'è l'elevazione morale che la guerra avrebbe dato al mondo? Dov'è il progresso spirituale che avremmo raggiunto in seguito alla guerra? Dov'è la sicurezza di vita, la sicurezza delle cose che possediamo per le nostre necessità? Dov'è il rispetto per la vita umana? Dove sono il rispetto e l'ammirazione per la dignità e la bontà della natura umana? Mai come oggi, prima della guerra, si sono avuti tanti delitti, tanta corruzione, tanta degenerazione.
Se ricordo bene, durante il processo, Katzmann ha affermato davanti alla giuria che un certo Coacci ha portato in Italia il denaro che, secondo la teoria della pubblica accusa, io e Sacco avremmo rubato a Braintree. Non abbiamo mai rubato quel denaro. Ma Katzmann, quando ha fatto questa affermazione davanti alla giuria, sapeva bene che non era vero. Sappiamo già che quell'uomo è stato deportato in Italia, dopo il nostro arresto, dalla polizia federale. Io ricordo bene che il poliziotto federale che lo accompagnava aveva preso i suoi bauli, prima della traduzione, e li aveva esaminati a fondo senza trovarvi una sola moneta.
Ora, io dico che è un assassinio sostenere davanti alla giuria che un amico o un compagno o un congiunto o un conoscente dell'imputato o dell'indiziato ha portato il denaro in Italia, quando si sa che non è vero. Io non posso definire questo gesto altro che un assassinio, un assassinio a sangue freddo.
Ma Katzmann ha detto anche qualcos'altro contro di noi che non è vero. Se io comprendo bene, c'è stato un accordo, durante il processo, con il quale la difesa si era impegnata a non presentare prove della mia buona condotta in Plymouth, e l'accusa non avrebbe informato la giuria che io ero già stato processato e condannato in precedenza, a Plymouth. A me pare che questo fosse un accordo unilaterale. Infatti, al tempo del processo di Dedham, anche i pali telegrafici sapevano che io ero stato processato e condannato a Plymouth: i giurati lo sapevano anche quando dormivano. Per contro, la giuria non aveva mai veduto né Sacco né me, e io penso che sia giusto dubitare che nessun membro della giuria avesse mai avvicinato prima del processo qualcuno che fosse in grado di dargli una descrizione sufficientemente precisa della nostra condotta. La giuria non sapeva niente, dunque, di noi due. Non ci aveva mai veduto. Ciò che sapeva erano le cattiverie pubblicate dai giornali quando fummo arrestati e il resoconto del processo di Plymouth.
Io non so per quale ragione la difesa avesse concluso un simile accordo, ma so molto bene perché lo aveva concluso Katzmann: perché sapeva che metà della popolazione di Plymouth sarebbe stata disposta a venire in tribunale per dire che in sette anni vissuti in quella città non ero mai stato visto ubriaco, che ero conosciuto come il piú forte e costante lavoratore della comunità. Mi definivano «il mulo», e coloro che conoscevano meglio le condizioni di mio padre e la mia situazione di scapolo si meravigliavano e mi dicevano: «Ma perché lei lavora come un pazzo, se non ha né figli né moglie di cui preoccuparsi?».
Katzmann poteva dunque dirsi soddisfatto di quell'accordo. Poteva ringraziare il suo Dio e stimarsi un uomo fortunato. Eppure, egli non era soddisfatto. Infranse la parola data e disse alla giuria che io ero già stato processato in tribunale. Io non so se ne è rimasta traccia nel verbale, se è stato omesso oppure no, ma io l'ho udito con le mie orecchie. Quando due o tre donne di Plymouth vennero a testimoniare, appena la prima di esse raggiunse il posto ove è seduto oggi quel gentiluomo — la giuria era già al suo posto — Katzmann chiese loro se non avesse già testimoniato in precedenza per Vanzetti. E alla loro risposta affermativa replicò: «Voi non potete testimoniare». Esselasciarono l'aula. Dopo di che testimoniarono ugualmente. Ma nel frattempo egli disse alla giuria che io ero già stato processato in precedenza. È con questi metodi scorretti che egli ha distrutto lamia vita e mi ha rovinato.
Si è anche detto che la difesa avrebbe frapposto ogni ostacolo pur di ritardare la prosecuzione del caso. Non è vero, e sostenerlo è oltraggioso. Se pensiamo che l'accusa, lo Stato, hanno impiegato un anno intero per l'istruttoria, ciò significa che uno dei cinque anni di durata del caso è stato preso dall'accusa solo per iniziare il processo, il nostro primo processo. Allora la difesa fece ricorso a lei, giudice Thayer, e lei aspettò a rispondere; eppure io sono convinto che aveva già deciso: fin dal momento in cui il processo era finito, lei aveva già in cuore la risoluzione di respingere tuttigli appelli che le avremmo rivolti. Lei aspettò un mese o un mese e mezzo, giusto per render nota la sua decisione alla vigilia di Natale, proprio la sera di Natale. Noi non crediamo nella favola della notte di Natale, né dal punto di vista storico né da quello religioso. Lei sa bene che parecchie persone del nostro popolo ci credono ancora, ma se noi non ci crediamo ciò non significa che non siamo umani. Noi siamo uomini, e il Natale è dolce al cuore di ogni uomo. Io penso che lei abbia reso nota la sua decisione la sera di Natale per avvelenare il cuore delle nostre famiglie e dei nostri cari. Mi dispiace dir questo, ma ogni cosa detta da parte sua ha confermato il mio sospetto fino a che il sospetto è diventato certezza.
Per presentare un nuovo appello, in quel periodo, la difesa non prese piú tempo di quanto ne avesse preso lei per rispondere. Ora non ricordo se fu in occasione del secondo o del terzo ricorso, lei aspettò undici mesi o un anno prima di risponderci; e io sono sicuro che aveva già deciso di rifiutarci un nuovo processo prima ancora di consultare l'inizio dell'appello. Lei prese un anno, perdarci questa risposta, o undici mesi. Cosicché appare chiaro che, alla fine, dei cinque anni, due se li prese lo Stato: uno trascorse dal nostro arresto al processo, l'altro in attesa di una risposta al secondo a al terzo appello.
Posso anzi dire che, se vi sono stati ritardi, essi sono stati provocati dall'accusa e non dalla difesa. Sono sicuro che se qualcuno prendesse una penna in mano e calcolasse il tempo preso dall'accusa per istruire il processo e il tempo preso dalla difesa per tutelare gli interessi di noi due, scoprirebbe che l'accusa ha preso piú tempo della difesa. C'è qualcosa che bisogna prendere in considerazione a questo punto, ed è il fatto che il mio primo avvocato ci tradí. Tutto il popolo americano era contro di noi. E noi abbiamo avuto la sfortuna di prendere un secondo legale in California: venuto qui, gli è stato dato l'ostracismo da voi e da tutte le autorità, perfino dalla giuria. Nessun luogo del Massachusetts era rimasto immune da ciò che io chiamo il pregiudizio, il che significa credere che il proprio popolo sia il migliore del mondo e che non ve ne sia un'altro degno di stargli alla pari.
Di conseguenza, l'uomo venuto dalla California nel Massachusetts a difendere noi due, doveva essere divorato, se era possibile. E lo fu. E noi abbiamo avuto la nostra parte.
Ciò che desidero dire è questo: il compito della difesa è stato terribile. Il mio primo avvocato non aveva voluto difenderci. Non aveva raccolto testimonianze né prove a nostro favore. I verbali del tribunale di Plymouth erano una pietà. Mi è stato detto che piú di metà erano stati smarriti. Cosicché la difesa aveva un tremendo lavoro da fare, per raccogliere prove e testimonianze, per apprendere quel che i testimoni dello Stato avevano sostenuto e controbatterli. E considerando tutto questo, si può affermare che se anche la difesa avesse preso doppio tempo dello Stato, ritardando cosí il caso, ciò sarebbe stato piú che ragionevole. Invece, purtroppo, la difesa ha preso meno tempo dello Stato.

Ho già detto che non soltanto non sono colpevole di questi due delitti, ma non ho mai commesso un delitto in vita mia non ho mai rubato, non ho mai ucciso, non ho mai versato una goccia disangue, e ho lottato contro il delitto, ho lottato sacrificando anche me stesso per eliminare i delitti che la legge e la chiesa ammettono e santificano.

Questo è ciò che volevo dire. Non augurerei a un cane o a un serpente, alla piú miserevole e sfortunata creatura della terra, ciò che ho avuto a soffrire per colpe che non ho commesso. Ma la mia convinzione è un'altra: che ho sofferto per colpe che ho effettivamente commesso. Sto soffrendo perché sono un radicale, e in effetti io sono un radicale; ho sofferto perché sono un italiano, e in effetti io sono un italiano; ho sofferto di piú per la mia famiglia e per i miei cari che per me stesso; ma sono tanto convinto di essere nel giusto che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e per due volte io potessi rinascere, vivrei di nuovo per fare esattamente ciò che ho fatto finora.

Ho finito. Grazie.


Tratto dal libro "Non piangete la mia morte"
"Progetto Manuzio", da cui è stata tratta lo scritto di questo post



Il 29 agosto del 1927 Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti vennero uccisi sulla sedia elettrica nel penitenziario di Charlestown, presso Dedham.

Cinquant'anni dopo loro morte, il 23 agosto 1977 Michael Dukakis, governatore dello Stato del Massachusetts, riconobbe ufficialmente gli errori commessi nel processo e riabilitò completamente la memoria di Sacco e Vanzetti.

 


venerdì 11 dicembre 2015

Licenza di amministrare

Se vuoi fare il docente devi avere studiato, nella migliore delle ipotesi, per una  ventina di anni, dalla scuola primaria fino all'università. Ma non basta. Devi aver frequentato corsi di perfezionamento e superato un concorso attraverso il quale essere dichiarato idoneo all'insegnamento. In maniera simile, qualsiasi altra attività lavorativa tu voglia svolgere, devi essere abilitato. Se ad esempio decidi di aprire un'attività commerciale devi dimostrare di possedere precisi requisiti. Devi conoscere il settore nel quale decidi di operare, devi fare richiesta di licenze e autorizzazioni, di idonietà a svolgere quella determinata mansione. In ogni contesto ti viene richiesto di dimostrare alle istituzioni di essere non solo capace, ma anche di avere svolto precisi percorsi di studio e formativi. Anche attività semplici, di lavoro manuale, non intellettuale, richiedono livelli minimi di istruzione, livelli minimi di competenze e idoneità che, comunque, devono essere certificate dalle stesse istituzioni. Pur considerando asfissiante la burocrazia che gestisce questo sistema, rimane la sostanziale correttezza del principio che può essere sintetizzato così: per svolgere un'attività che a che fare con la fornitura di beni e servizi alle persone, occorre dimostrare di averne capacità. Questa capacità deve essere attestata con titoli, esperienze professionali, idoneità.
E per svolgere uno qualsiasi degli incarichi di pubblico amministratore? Dal semplice consigliere comunale, fino al ministro della Repubblica, quali competenze ed idoneità sono richieste? Nessuna. Certo, è facile obiettare che trattasi per lo più di cariche elettive e pertanto l'investitura viene dal popolo. Mentre una volta la formazione della classe politica avveniva preventivamente, in maniera piu o meno efficace, all'interno degli stessi partiti, oggi non c'è traccia di formazione preventiva. Piuttosto si viene selezionati più per la forza politica ed il "seguito" che per le idee e la  capacità di rendere quelle idee "fatti" amministrativi. Non credo siano necessari titoli di studio, ma formazione specifica si. Se per vendere un panino devo dimostrare, com'è giusto, di conoscere le nozioni fondamentali di igiene, scienza dell'alimentazione, merceologia, ecc., non si capisce perché per amministrare una comunità,  piccola o grande che sia, non si debbano conoscere i fondamenti di ciò che si amministra. Non voglio dire che bisogna essere tecnici, ma la politica non può prescindere dalla competenza e dalla conoscenza. Sapere come si forma un atto amministrativo, conoscere l'organizzazione burocratica dello Stato e le principali leggi che lo regolamentato, sono prerequisiti che tutti i cittadini dovrebbero avere, ma chi aspira ad amministrare deve averli obbligatoriamente. 
Un assessore non deve svolgere il compito del dirigente amministrativo, ma non può non conoscere gli strumenti che può utilizzare per raggiungere un obiettivo politico. Spesso, l'incompetenza del politico, associata alla superficialità del funzionario, genera mostri amministrativi, atti viziati, che producono contenziosi decennali con danni economici incalcolabili. Volutamente ho escluso dalla mia analisi il dolo, la disonestà, il malcostume. Tutte categorie che meritano, com'è ovvio, un discorso a parte. 
Tutti possono e devono aspirare a ricoprire cariche pubbliche elettive e non, ma non sarebbe male se ci si preparasse studiando. E se chi si propone non vuole farlo? Penso che non sia sbagliato prevedere una qualche forma di esame, di idoneità. Se per vendere il mio panino mi chiedi la licenza e di saperlo fare senza far venire il mal di pancia ai miei clienti,  per ricoprire incarichi che hanno a che fare con il bene comune e con la vita delle persone, devi quantomeno sapere di cosa ti stai occupando! Eviteremmo così molti mal di pancia!

lunedì 23 novembre 2015

SocialMinchiate #1 - Putin Santo subito!


È difficile convivere con le moderne paure. Il terrorismo, la crisi, la criminalità, le malattie. Se con superficialità vengono alimentate dai mezzi di informazione, con altrettanta approssimazione vengono proposte soluzioni a volte davvero bizzarre. Da qualche settimana imperversa sui social l'apologia all'eroe di turno, tale Vladimir Putin. A quanto pare, leggendo i post più popolari, L'Isis avrebbe le ore contate e tutto il medioriente verrebbe liberato grazie all'intervento dell'Orso Russo, nostro Salvatore. Certo, possiamo disquisire su tutto, non certo sulla competenza di Putin in materia di guerre e terrorismo. Lui si è fatto le ossa in Cecenia. In Ucrania, poi, non ne parliamo, ha dato il meglio di se! A quanto pare non ama molto gli oppositori politici e la stampa che lo critica e in ogni caso opporsi o criticarlo porta male. Misteriosamente gli avversari politici e i giornalisti a lui contrari fanno sempre una brutta fine. Ma questo, si sa, sarà opera dei suoi nemici che vogliono metterlo in cattiva luce. Tranquilli, quindi, siamo in buone mani. A noi italiani, poi, tiene in maniera particolare, vista l'amicizia di berlusconiana memoria. A giorni è  atteso un suo intervento per scongiurare i pericoli di attacchi durante il Giubileo, per vigilare sui possibili attacchi al ponte sullo Stretto di Messina e per debellare la xylella fastidiosa dagli ulivi in Puglia e il punteruolo rosso in Sicilia!

lunedì 16 novembre 2015

Parigi

Tanta tristezza e senso di impotenza. Chi uccide in nome di un qualsiasi Dio, uccide due volte: la propria vittima e quel Dio che invoca. Sono convinto, peró, che le cause vadano cercate in profondità, senza lasciarsi trasportare dalle contingenze, volgendo lo sguardo indietro. Le tonnellate di odio sparse da troppi anni per il mondo hanno prodotto risentimento e barbarie. L'eccidio di Parigi, messo in atto da ragazzi poco più che ventenni, accecati dal fanatismo, nel nome di un improbabile dio, dovrebbe interrogare noi tutti sulle strategie messe in campo in questi anni dai governi europei e americano. Abbiamo la memoria corta. L'Isis, per stessa ammissione degli americani è stata finanziata e fatta crescere negli anni in cui serviva a fronteggiare i nemici di Bush. Nei numerosi scenari di guerra aperti in medioriente e negli altri sparsi per il mondo, spesso dimenticati, si sono realizzati inconfessabili accordi e strategie in combutta con i potenti del momento. Petrolio, armi, interessi economici, sete di potere, sono stati alla base di molti conflitti che per la gente comune sono serviti solo a seminare altro odio che inevitabilmente ha prodotto e produrrà come frutto altro e più potente odio. I fanatismi ed i fanatici sguazzano in simili contesti. Poi ci si meraviglia degli attentati e del terrore. Spero di sbagliarmi, ma non credo che tutto questo finirà presto. Intanto il pensiero alle ultime vittime inermi di Parigi e in ogni altra parte del mondo.

martedì 9 giugno 2015

La violenza non ha senso

La violenza non ha senso. La violenza deve essere bandita dai comportamenti individuali e da quelli collettivi. La violenza fisica, verbale, psicologica deve essere combattuta in ogni luogo e in ogni situazione. Insegnanti, educatori, genitori, giornalisti, artisti, sportivi, registi, fotografi, tutti, facciamo in modo di non contribuire a veicolare ed amplificare contenuti e comportamenti violenti. La proposizione di immagini di violenza, se da un lato indigna, dall'altro genera assuefazione ed emulazione specie nei soggetti più deboli e indifesi. Educare alla non violenza è un dovere, ed è anche bello.

sabato 25 aprile 2015

25 Aprile, Settant'anni e non li dimostra

Settant'anni fa uomini e donne coraggiosi hanno sognato e realizzato un paese libero dai tiranni, donandoci libertà e democrazia. Forse non  immaginavano un paese così com'è diventato,  ma hanno dato la loro vita, la loro gioventù affinché potessimo gustare il sapore della libertà. Erano poco più che ventenni quando decisero di lottare per il futuro del loro paese, coetanei dei giovani che non sanno che cosa si festeggia oggi. Conoscere la storia è un dovere per poter rivendicare i propri diritti ed essere parte di una comunità.
http://www.youtube.com/watch?v=cBesCvBzXfw

domenica 19 aprile 2015

19 Aprile 2015, 700 migranti morti annegati nel canale di Sicilia

La pena, la commozione,  il disappunto, non bastano più. Non è più possibile assistere all'indifferenza e all'inconcludenza dei governi e delle organizzazioni internazionali. Altro che blocchi navali e chiusura delle frontiere. Nessuno riuscirà a fermare la migrazione dei popoli. Lo dice la storia, lo dicono gli studi e le ricerche. Ogni qualvolta una parte del mondo si arricchisce a scapito di un'altra,  i popoli che vivono il disagio economico o la privazione della libertà partono alla ricerca di condizioni di vita migliori. Le frontiere geografiche, politiche e mentali non fanno altro che accrescere i problemi che scaturiscono dalle migrazioni. In primo luogo per gli stessi migranti che per aggirare le frontiere si mettono nelle mani dei criminali che gestiscono il traffico di esseri umani, rischiando la loro vita e quella dei loro familiari. Ma i muri, le barriere, gli steccati creano separazione e distacco anche nei paesi che ricevono i migranti. Infatti l'arrivo di uomini non considerati come migranti ma come clandestini, crea un fossato tra i residenti che vedono nell'immigrato un pericolo, e i migranti che non essendo "in regola" sono costretti a vivere ai margini della società che dovrebbe accoglierli. Se tutti gli uomini fossero liberi di decidere dove andare e di spostarsi liberamente, molti problemi sarebbero risolti. Invece questa possibilità sembra essere una prerogativa degli abitanti dei paesi ricchi, mentre viene negata a chi vive nei paesi del terzo o quarto mondo. La tecnologia oggi consente di poter gestire le informazioni necessarie a organizzare i flussi delle persone che si spostano.  Anziché foraggiare scafisti e traffici clandestini di esseri umani, si potrebbe consentire alle persone di spostarsi liberamente attraverso i porti e gli aeroporti. Un mio caro amico tunisino una volta mi disse: perché un giovane italiano o francese se lo vuole può decidere di venire domani liberamente nel mio o in qualunque altro paese, mentre se lo vuole fare un giovane tunisino o senegalese deve richiedere permessi che non gli saranno quasi mai rilasciati? Solo se riusciremo a dare risposta a questa domanda potremo sperare in un mondo più equo e solidale e sicuramente eviteremo di assistere a tragedie come quella di oggi che parlano direttamente alla nostra coscienza. Ammesso che ne abbiamo ancora una.

giovedì 9 aprile 2015

Il pranzo è servito?

Il dibattito sulla rappresentazione della realtà è vecchio quanto il mondo. Molti strumenti sono utilizzat per rappresentare il reale: l'arte, la letteratura, il teatro, la musica, la fotografia, il cinema, la televisione, le nuove tecnologie della rete. Spesso, però, assistiamo passivi allo stravolgimento del reale ad opera del mezzo più aggressivo dei nostri giorni: La televisione. Tanti gli esempi che possiamo citare. L'arte gastronomica, ad esempio, sedimentata in Italia da secoli di tradizione popolare, capace di utilizzare i prodotti di una terra generosa e unica, richiede tempi e modalità che nulla hanno a che fare con la frenesia televisiva. La preparazione del cibo e la sua consumazione sono sinonimi di condivisione e non di competizione. Lo strumento televisivo non racconta, piuttosto piega, mortifica l'arte del fare da mangiare alle esigenze tecniche e ai tempi televisivi. Il messaggio è chiaro: se vuoi essere considerato un grande chef devi essere non solo bravo, ma veloce, acrobatico, stupefacente, anche un po' stronzo. E devi esserlo entro un limite temporale breve, definito, scandito dal pubblico distratto e divertito, davanti a giudici severi e arrabbiati. Nessuna delle nostre madri o delle nostre nonne potrebbe vincere una di queste gare. La caponata, il ragù, la pasta fresca, il nero di seppia, venivano cucinati con calma, senza fretta, senza effetti speciali, senza cronometro, con ingredienti semplici tra i quali non mancava mai l'amore.  Magari durante le prime ore del mattino, senza pubblico, quando a svegliarti era il profumo del soffritto.

venerdì 20 marzo 2015

Tunisi contro il terrore

18 marzo 2015
Le notizie che arrivano dalla Tunisia inquietano e rattristano. Un popolo straordinario che sta cercando di coniugare il valore della democrazia con il rispetto del pluralismo religioso. Proprio per questo rappresenta un "pericolo" per i promotori della strategia del terrore. Per i fanatici non può e non deve esistere un esempio riuscito di civile convivenza. Sono certo che sarà difficile piegare la determinazione democratica dei tunisini che nel corso della storia sono stati esempio di civiltà, rispetto delle diversità, accoglienza.Sono vicino ai familiari delle vittime e ai tanti amici tunisini con i quali ho condiviso storie, racconti, umanità e vicinanza.

20 marzo 2015
Migliaia di tunisini sono scesi in strada, lungo la bellissima avenue Habib Bourguiba, per gridare la loro indignazione contro la strategia del terrore. In quelle strade da secoli convivono i simboli delle religioni cattolica, musulmana, ebraica. Donne, uomini e bambini, tutti insieme senza paura a gridare in difesa della libertà, dei diritti, della civile convivenza. Umanità che difende la libertà conquistata con coraggio, che non vuole cedere un centimetro della propria terra al cieco fanatismo che si nasconde dietro l'esibizione violenta di un credo religioso che nessun Dio ha mai predicato. Gli uomini del terrore ostentano sicurezza e onnipotenza, ma non sono uomini liberi. Sono schiavi del loro stesso fanatismo. Nessuno di loro può vedere oltre il campo visivo ristretto e distorto della violenza. Non sono coraggiosi quando scelgono vittime inermi e innocenti, quando  violentato donne e bambini, quando distruggono statue e siti archeologici. Testimoniano soltanto la totale assenza di umanità e proprio per questo, nonostante le apparenti conquiste, sono destinati alla sconfitta.

martedì 10 marzo 2015

VALORI

Il denaro esprime la considerazione che una nazione ha per il ruolo sociale delle persone. Ecco alcuni esempi del "valore" che oggi attribuiamo al lavoro.

Gruppo A (valore mensile del lavoro arrotondato alla peggiore delle ipotesi):
Calciatore (100.000), Velina (50.000), Manager Pubblico (200.000), top model (100.000), Presentatore TV (150.000), Manager privato (300.000).... Continuate l'elenco a piacere..

Gruppo B (valore mensile del lavoro arrotondato alla migliore delle ipotesi):
Insegnante (1.300), Terapista (1.250), Poliziotto (1400), Ricercatore (1.000), Operaio (1.200), Restauratore (1.500), Giovane laureato precario (dati non pervenuti)... Continuate l'elenco a piacere.

Una società è lo specchio dei "valori" che esprime. Alcuni sostengono che è il "mercato" a stabilire cosa vale di più. Lo penso anch'io. Solo che questi "valori" e il mercato che li determina, non mi piacciono. Questo modello sociale falso va cambiato. Del tutto.

sabato 21 febbraio 2015

Trivelle mentali

Apprendo che nel decreto "sblocca Italia" approvato dal governo sono state rese più semplici le procedure per eseguire trivellazioni petrolifere. Addirittura le stesse valutazioni di rischio ambientale sono state rese meno rigide o addirittura, in qualche caso, non più richieste. A questo si aggiunge la volontà del governo regionale di autorizzare le trivellazioni su larga scala nel mare siciliano. Che la politica nostrana fosse miope ne abbiamo avuto prova nel corso dei decenni passati, ma mi ero illuso che quantomeno avesse imparato  dall'esperienza. In Sicilia l'avere puntato sull'ndustrializzazione, il petrolio, le raffinerie,  ha portato vantaggi solo per le multinazionali, mentre le ricadute per la nostra regione le stiamo pagando in termini di degrado, inquinamento, malattie, compromissione dello sviluppo turistico. Un falso benessere che non è servito neanche a fare invertire la rotta alla politica. Un modello di sviluppo sbagliato che ahimè continua ad essere perpetrato. Adesso nuove trivelle pronte a generare nuove illusioni, quando basterebbe guardarsi intorno per capire su che cosa occorre investire e quali siano le nostre ricchezze naturali. Altro che petrolio. Ma in questa direzione occorrono idee, strategie, scelte che questa politica non sa e non vuole fare. Una tristezza profonda pervade l'anima di chi ha sperato e spera nel rispetto della nostra terra, di chi crede in uni sviluppo rispettoso dellambiente. A volte penso davvero che se la politica siciliana fosse rimasta immobile, senza fare nulla, avrebbe causato meno danni, meno scempi.

martedì 17 febbraio 2015

Game Over

PENSAVO..
All'improvviso sembrano essersi svegliati. Giornalisti, governanti, commentatori. Toh.. forse dobbiamo fare una guerra! Tutti troppo distratti, impegnati a curare e commentare i fatti dell'orticello nostrano, adesso cercano improbabili scorciatoie per affrontare un problema che neanche conoscono. Se il tempo  si potesse riavvolgere come un nastro, mi piacerebbe farlo tornare ad una ventina di anni fa, quando l'America di Bush, con proclami altisonanti si apprestava ad "esportare la democrazia" con le  guerre in Afghanistan e Iraq. Come troppe volte la storia ci ha insegnato, le bombe non risolvono i problemi. L'odio, il rancore, le spaccature tra i popoli che esse generano, covano per anni. Poi, come fiumi carsici, riaffiorano e non sempre nello stesso posto dove sono state generate. Fondamentalismi, intolleranze, irrazionalità, si alimentano e si amplificano fino ad esplodere. L'ipocrisia e gli interessi del cosiddetto Occidente hanno di fatto alimentato conflitti in ogni angolo del mondo. Oggi, come tanti boomerang, tornano indietro, a pochi chilometri da noi. Teatri di guerra che sono figli della cattiva coscienza e dell'insensata politica di chi si è ritenuto il giustiziere del mondo intero.
Qualunque soluzione, destinata ad affrontare adesso l'emergenza del terrore, non può che essere sbagliata. La pace è un processo quotidiano, ma lento. Si costruisce nel tempo, senza la voglia di sopraffare l'altro, con il dialogo e la giustizia sociale. Tutte cose, ahimè, alle quali abbiamo rinunciato. Game Over.

domenica 1 febbraio 2015

Madre povera, anzi, povera madre

Pensavo...

Guardando l'inchiesta sull'infanzia e gli istituti per i minori di Riccardo Iacona, conduttore del programma "Presa diretta", sono rimasto davvero esterrefatto dal caso di una mamma. In breve: Le è stato tolto suo figlio perchè povera, attenzione, non perchè violenta o una poco di buono, ma perchè aveva perso il lavoro. I solerti Servizi Sociali hanno relazionato che sarebbe stato meglio per il bambino andare in istituto. Così decide il giudice e una mattina la mamma si vede portare via suo figlio che da quel momento potrà vedere in maniera "protetta" solo per qualche ora alla settimana.
Il bambino si trova adesso lì da tre anni, dove lo Stato paga una retta di circa 100 euro al giorno. In tre anni ho calcolato che lo Stato ha versato all'istituto più di 100 mila euro. Adesso mi chiedo:
1. Non è che l'interesse degli Istituti viene prima dell'interesse verso i bambini?
2. ma se avessero dato anche la metà di quei soldi alla famiglia del bambino che versava in condizioni di povertà, non sarebbe stato più giusto e meno traumatico per il bambino e sua madre che non ha scelto di diventare povera?
Sarebbe assistenzialismo? Bene... che male c'è?

martedì 27 gennaio 2015

Pensavo... la sinistra e la sindrome della suocera

Pensavo... E' proprio una strana sindrome quella che colpisce noi di sinistra quando qualcuno tra di noi si appresta a governare. Non fa differenza se si tratta di un comune o di una nazione, la sindrome colpisce comunque. Da una parte c'è chi è chiamato a responsabilità amministrative o di governo, che quasi vergognandosi delle idee professate fino al giorno prima, inizia una lenta ma inesorabile manovra di avvicinamento in direzione opposta, perdendosi per strada chi fino a quel momento gli era stato accanto. Dall'altra parte, molti dei militanti, dei compagni di partito, assumono l'atteggiamento della suocera stizzita, pronta a non lasciarne passare una. Una volta però, si concedevano i canonici sei mesi prima di cominciare a sferrare gli attacchi, mentre oggi, nella migliore delle ipotesi, solo 48 ore. Tranquilli, non mi riferisco a Renzi e al Pd (parlavo di sinistra), quindi... Povero Tsipras...

domenica 25 gennaio 2015

Pensavo... Bastava solo guardarsi intorno

Pensavo... arte, storia, cultura, paesaggio, natura,  erano le caratterstiche riconosciute all'Italia e a noi italiani.  La creatività è stata il volano che ci ha fatto diventare leader nella musica, nel cinema, nella danza, nella letteratura, nel teatro, nella scienza. Un patrimonio che negli ultimi decenni è stato colpevolmente trascurato, sottovalutato, dileggiato. L'esposizione alla bellezza è di per sé formativa, educativa, ma nel caso dell'Italia è stata anche economia. Nessuna attenuante per i tanti politicanti che dopo aver prodotto un simile scempio, si interrogano oggi su quali siano le strade da seguire per rilanciare il nostro paese... sarebbe bastato solo guardarsi intorno!

Pensavo... Tv utile e servizio pubblico

Pensavo... se  nei programmi di cucina che imperversano in tutte le tv, i vari master chef e cloni, i reality, le prove del cuoco, ecc., invitassero a mangiare le pietanze cucinate i clochard, i senza tetto, i vecchi e i nuovi poveri, forse sarebbe più facile digerirli.. Televisione utile e servizio pubblico!