Il dibattito sulla rappresentazione della realtà è vecchio quanto il mondo. Molti strumenti sono utilizzat per rappresentare il reale: l'arte, la letteratura, il teatro, la musica, la fotografia, il cinema, la televisione, le nuove tecnologie della rete. Spesso, però, assistiamo passivi allo stravolgimento del reale ad opera del mezzo più aggressivo dei nostri giorni: La televisione. Tanti gli esempi che possiamo citare. L'arte gastronomica, ad esempio, sedimentata in Italia da secoli di tradizione popolare, capace di utilizzare i prodotti di una terra generosa e unica, richiede tempi e modalità che nulla hanno a che fare con la frenesia televisiva. La preparazione del cibo e la sua consumazione sono sinonimi di condivisione e non di competizione. Lo strumento televisivo non racconta, piuttosto piega, mortifica l'arte del fare da mangiare alle esigenze tecniche e ai tempi televisivi. Il messaggio è chiaro: se vuoi essere considerato un grande chef devi essere non solo bravo, ma veloce, acrobatico, stupefacente, anche un po' stronzo. E devi esserlo entro un limite temporale breve, definito, scandito dal pubblico distratto e divertito, davanti a giudici severi e arrabbiati. Nessuna delle nostre madri o delle nostre nonne potrebbe vincere una di queste gare. La caponata, il ragù, la pasta fresca, il nero di seppia, venivano cucinati con calma, senza fretta, senza effetti speciali, senza cronometro, con ingredienti semplici tra i quali non mancava mai l'amore. Magari durante le prime ore del mattino, senza pubblico, quando a svegliarti era il profumo del soffritto.
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